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Giulio Francese: la necessità di cambiare, il desiderio di combattere

Il 28° Congresso FNSI tenutosi a Levico Terme il 12 febbraio, ha tracciato una linea netta e marcata tra presente e futuro. Un presente da modificare, ma non da dimenticare e un futuro da ridisegnare seguendo nuove tracce alla ricerca di idee innovative. Una categoria  che “alza la testa” e che a schiena dritta difende il proprio lavoro e la propria professione.

L’analisi rigorosa e attenta del presidente dell’Odg Sicilia, Giuilo Francese, disegna nuove strategie, nuovi interlocutori e la paura di nuovi bavagli pronti a far tacere la necessaria libertà di stampa.

 

RELAZIONE DEL PRESIDENTE – ASSEMBLEA 23 MARZO 2019

Alla ricerca di un futuro possibile. Un futuro che “ci chiede di andargli incontro, non di attenderlo, arroccati nelle ansie, nelle paure, nelle fatiche” come ha detto Don Ciotti il mese scorso dal palco del congresso Fnsi. Ma non induce di certo all’ottimismo la foto uscita da Levico Terme: ci presenta una categoria dei giornalisti ripiegata su se stessa, che non sa bene in che direzione andare. Ci muoviamo in un presente attraversato da mille polemiche, difficoltà, umiliazioni. Non si arresta la perdita di posti di lavoro, la “decimazione di massa”, come la chiama il riconfermato segretario generale della Fnsi Raffaele Lorusso. Altre testate che chiudono, in Sicilia come nel resto d’Italia, che annunciano esuberi, mentre tutt’intorno soffia il vento dell’intolleranza nel Paese, che investe anche il mondo dell’informazione. È passato un anno dall’assemblea di Siracusa ed è successo di tutto, anche quello che non ti saresti mai aspettato. Come un sottosegretario con delega all’Editoria che si presenta da subito con la bellicosa intenzione di volere abolire l’Ordine dei giornalisti, ritenuto obsoleto, e di riformare la professione facendo un bel “reset”. Cominciando con un taglio progressivo ai residui fondi per l’editoria, che riguardano soprattutto piccoli giornali provinciali, o cattolici, tutti ora a rischio chiusura.

Giornalisti brutti, sporchi e cattivi. E anche pennivendoli e sciacalli, espressioni quest’ultime uscite dai piani alti dei palazzi del potere. Ma una volta non si diceva che le istituzioni devono dare il buon esempio? È come se non ci venisse più riconosciuto un ruolo centrale nella diffusione delle notizie. Ci sono Facebook e Twitter, ci sono ministri che hanno imparato a usarli con maestria, “sparando” le loro verità in diretta al popolo dei social, senza quei seccatori di giornalisti con le loro domande fastidiose. In questa traversata del deserto che abbiamo davanti, una delle prove più difficili è proprio questa: non demonizzare i social, ma non lasciare neppure campo libero a una acritica disintermediazione, recuperando un ruolo di verifica e di “certificazione” delle notizie.

 

L’Ordine e la necessità di cambiare

Agli attacchi di chi vorrebbe eliminarlo, l’Ordine ha risposto con la serietà di chi sa di svolgere un ruolo essenziale per la categoria, proponendo linee guida per una sua riforma, a cominciare dal nome: Ordine del giornalismo, inteso come presidio della professione. Una professione oggi assai mutata, che impone all’Ordine di accettare la sfida dell’immediato futuro, guardando con attenzione al mondo della Rete. Ed è in particolare sulle modalità di accesso alla professione che si concentrano le linee guida della riforma, riconoscendo la necessità di una maggiore specializzazione dei giornalisti per stare al passo con i tempi, di una migliore formazione che passa dall’università, rendendo la laurea obbligatoria per tutti. Anche per i pubblicisti. 

Non mi dilungo più di tanto sulla riforma, sapete bene che è il Parlamento a doverla attuare e a pronunciarsi sul contributo fornito dall’Ordine con le sue linee guida. Gli Stati generali dell’Editoria, voluti dal sottosegretario Crimi, saranno un’occasione importante di confronto.

La Fnsi e i nodi della crisi

Nella speranza di vedere aprirsi nuovi orizzonti, arranchiamo faticosamente nel presente. Per il riconfermato segretario generale della Fnsi, la nostra categoria si salva se si riconnette con il Paese. Partendo dal lavoro, tema fondamentale, da mettere in testa all’agenda di un nuovo confronto serio, dove ognuno rispetti il ruolo dell’altro. Dove si può discutere di tutto. “L’innovazione va declinata sulle nuove piattaforme, con nuove mansioni e una rinnovata visione sul futuro della professione” ha detto Lorusso. Ma senza arretramenti sui diritti.

Allo stato attuale sembra una “missione impossibile”. I numeri presentati a Levico Terme parlano da sé: nel 2008 i giornalisti occupati erano 18.866, dieci anni dopo15.016, il 20,4% in meno. Il ricorso al pensionamento, ha denunciato la Fnsi, è stato il principale ammortizzatore sociale, con un appesantimento del 58% negli ultimi 5 anni dei conti dell’Inpgi, sul cui futuro gravano pesanti incertezze. E la “decimazione” è destinata a continuare, perché “la verità – ha spiegato Lorusso – è che l’unico modello che hanno in mente gli editori prevede lo svuotamento delle redazioni e l’aumento del lavoro precario”. 

Chiusure dolorose fino all’…”Ultima”

Chiusure di testate, richieste di esuberi, giornalisti in cassa integrazione: segnali allarmanti continuano ad arrivare da tutto il Paese e anche in Sicilia la situazione si fa sempre più dura. Dopo i guai giudiziari, per bancarotta, che hanno colpito il giornalista Enzo Basso, ha cessato le pubblicazioni dopo quasi 25 anni, nel silenzio generale, il settimanale d’inchiesta Centonove. Una grande perdita per l’informazione siciliana. Fine delle trasmissioni, a gennaio, dopo due anni di attività, per Ultima tv, emittente televisiva del gruppo Russo Morosoli di Catania. Lo stop e la decisione di mandare a casa i sei giornalisti è stata presa poco dopo l’arresto dell’editore per una serie di reati che riguardano la sua principale attività, ossia la gestione dei trasporti turistici nelle aree sommitali dell'Etna. Si è dovuta arrendere, dopo tanti anni di onorato servizio, la testata on line Siciliainformazioni di Salvatore Parlagreco, il quale ha formato decine di ottimi colleghi ma che, stremato dalle sofferenze economiche, è stato costretto a gettare la spugna. E c’è grande allarme anche a TRM. La televisione, che era stata sequestrata ma che nei mesi scorsi è tornata agli imprenditori Rappa, ha licenziato in tronco, senza alcun preavviso, tre tecnici, un dipendente amministrativo e un giornalista che era in organico nella redazione da 17 anni. Il direttore responsabile non è stato informato di tutto questo e con una scelta di grande dignità si è dimesso dal suo ruolo, restando in organico con la qualifica precedente. Gli editori gli hanno chiesto di congelare la sua decisione fino al 31 marzo. E nel frattempo è stata licenziata senza preavviso un’altra giornalista pubblicista, assunta con contratto a tempo determinato. Si temono ora altri licenziamenti e il ridimensionamento di una realtà editoriale che ha saputo ritagliarsi un ruolo di rilievo nel panorama dell’informazione regionale. E sono tante altre le testate a rischio, mentre lo stato di salute dei maggiori quotidiani non dà segni di miglioramento.

 

Ancora tagli e sacrifici al Giornale di Sicilia

Molte aspettative si sono concentrate lo scorso anno sulla nascita del nuovo asse Gazzetta del Sud - Giornale di Sicilia. Un anno dopo molte sono però le preoccupazioni e gli interrogativi. Grande azione di marketing, valorizzazione delle sinergie del gruppo, che comprende anche radio e tv, un nuovo progetto grafico per il quotidiano di via Lincoln. Ma a voler ben guardare i dati Ads sulle vendite dei giornali, i risultati non sono stati quelli sperati. 

Se a gennaio 2018 la Gazzetta del Sud era scesa poco sotto la media delle 20 mila copie vendute, a dicembre è scivolata a 16.961 ed è continuata a scendere anche a gennaio. Per il Giornale di Sicilia non c’è stato il passo in avanti: nel dicembre 2017 faceva registrare   una media di 13.622 copie vendute, che un anno dopo sono diventate 12.350. E a gennaio si è andati sotto le 12 milia copie. 

Sono, dunque, cambiate molte cose, ma non le sofferenze, per affrontare le quali servono ora nuovi sacrifici. In una parola, ancora tagli. Il Giornale di Sicilia, proprio un mese fa, ha avviato la procedura di mobilità dopo avere evidenziato esuberi di personale  già a partite dal 2016 e fatto ricorso alla cassa integrazione per due anni. Ora si sono ritenuti indispensabili ulteriori interventi di riduzione dei costi: è stato raggiunto un accordo di solidarietà con il CDR che riguarda i 37 giornalisti ex art. 1 del CCNLG, procedendo però al licenziamento – con il parere contrario e senza la firma delle organizzazioni sindacali – di 14 giornalisti ex artt. 2 e 12 presenti in organico. E si sono visti sbarrare la strada, dopo il decreto dignità, anche i contrattisti di lungo corso, ai quali, dopo anni di attese e speranze non è rimasto nulla, solo gli spiccioli di collaborazioni pagate a pezzo.

“La Sicilia” tra sequestro e rilancio

Chi si sta giocando la partita per la sopravvivenza è La Sicilia di Catania, giornale in crisi da tempo, colpito a settembre scorso da un provvedimento di sequestro-confisca del Tribunale di Catania, nell’ambito della vicenda giudiziaria che vede coinvolto l’editore Mario Ciancio, accusato di avere favorito l’attività della mafia, piegando a questo fine, secondo gli inquirenti, anche la linea editoriale del suo giornale. Provvedimento senza precedenti, che ha destato enorme scalpore. Poteva essere il classico colpo di grazia per il quotidiano catanese e le altre testate del gruppo, le due emittenti televisive Antenna Sicilia e Telecolor e la Gazzetta del Mezzogiorno (oggi in gravissime difficolta, con i redattori non retribuiti da mesi, che hanno scioperato a lungo per chiedere chiarezza sul futuro).

Sono arrivati i commissari giudiziari che si sono messi subito al lavoro per evitare che un’azienda comunque in crisi potesse arrivare al collasso. E straordinari sono stati la reazione e l’impegno della redazione guidata dal direttore Antonello Piraneo, subentrato al dimissionario Ciancio, con grandi idee e voglia di lottare. Il Consiglio dell’Ordine si è recato immediatamente a Catania per incontrare i colleghi nella redazione de La Sicilia, per portar loro solidarietà e sostegno, respingendo ogni sospetto sulla correttezza del loro operato, pur esprimendo massima fiducia nel lavoro della magistratura. Ai commissari, che abbiamo incontrato, è stato chiesto di fare tutto il possibile per garantire la piena attività delle testate, senza contraccolpi sul piano occupazionale. Lo sforzo di tutti è stato encomiabile. Da settembre il numero delle copie vendute da La Sicilia si è attestato sempre oltre le 16 mila: a dicembre 16.047, contro le 14.624 di un anno prima. A gennaio sono scese però a 15.697.

A breve partirà un piano di rilancio, con cambio di formato, full color e aumento del prezzo, che però graverà fortemente sulle spalle di giornalisti e poligrafici, con una cassa integrazione pari al 30% per i primi e al 60% per gli altri. Ciò con l'obiettivo di arrivare in pareggio di bilancio alla fine del 2019, salvo che non si chiuda prima la querelle giudiziaria con l'editore Mario Ciancio Sanfilippo.

Le ombre del caso Montante

A maggio, quattro mesi prima della clamorosa decisione della magistratura etnea per il gruppo Ciancio, un’altra inchiesta a Caltanissetta, quella su Antonello Montante, finito agli arresti, ha scosso profondamente l’Isola, il mondo politico e istituzionale e anche quello dell’informazione. L’esponente di punta della svolta antimafia di Confindustria, di cui ha ricoperto anche la carica di responsabile per la Legalità, appena tre anni prima aveva visto traballare la sua immagine dopo un avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa. A darne per primo notizia, il 9 febbraio del 2015, fu Repubblica. Ma già dal 2013 erano usciti articoli sui giornali, in verità non molti, che gettavano ombre sul suo ruolo di paladino antimafia. 

Quello venuto fuori dall’inchiesta nissena è il ritratto di un industriale senza scrupoli, che avrebbe messo su un sistema illecito di “spionaggio” per tenere sotto controllo l’inchiesta su di lui e costruire dossier sui possibili eventuali nemici. Tutto scritto, in alcuni casi registrato, tutto catalogato in una stanza nascosta della sua casa. Incontri, cene, favori, colloqui, raccomandazioni, regali, i suoi contatti, gli amici, i nemici: c’era di tutto nel suo archivio segreto. C’erano anche i nomi di diciannove giornalisti, secondo un’informativa della Squadra Mobile nissena. È l’ex presidente di Confindustria Centro Sicilia, ex assessore regionale, ex amico di Montante e ora suo grande accusatore, Marco Venturi, a parlare di “rapporti distorti “ che Montante avrebbe intrattenuto con alcuni giornalisti per carpirne la benevolenza nelle cronache. Contro altri, invece, che scrivevano male di lui, Montante avrebbe cercato notizie per screditarli. Ricordiamo che c’è un processo in corso a Caltanissetta e che formalmente nessuna accusa è stata finora contestata ai colleghi citati nell’inchiesta per i rapporti con Montante. Gli investigatori sollevano però dubbi sulle condotte deontologiche, parlano di comportamenti non proprio in linea con la carta dei doveri dei giornalisti. Un testo che, per citare una frase ripetuta spesso dal nostro presidente nazionale Carlo Verna, dovremmo tenere sempre a portata di mano come un breviario della messa. Se qualcuno ha sbagliato lo valuterà il Consiglio di Disciplina, cui abbiamo trasmesso tempestivamente gli atti. L’Ordine si è anche costituito parte civile al processo in corso a Caltanissetta, scelta doverosa perché vogliamo sia fatta piena luce sui rapporti tra Montante e i giornalisti, a tutela del buon nome e della funzione della categoria, per rispetto dei tanti colleghi che lavorano con passione e sacrificio, spesso anche per pochi soldi, senza piegarsi davanti a minacce o a tentativi subdoli per ammorbidirli o metterli a tacere. 

 

Credibilità e i rischi del mestiere

In attesa di fare chiarezza, è indubbio che la vicenda Montante ha creato un danno d’immagine non di poco conto alla nostra categoria. E nel momento in cui è messa in discussione come mai prima d’ora, la nostra professione deve ritrovare la sua ragione d’essere nei suoi fondamentali: deontologia, correttezza, autonomia. È una sfida che si chiama credibilità e che non possiamo perdere agli occhi della gente che oggi ci guarda sempre più con astio e diffidenza. Fare bene il proprio lavoro, con rinnovato rigore e passione, è l’unico sistema che abbiamo. E sono molti i colleghi che vanno avanti con la schiena dritta, anche se tante volte c’è un prezzo da pagare, perché fare bene e con coscienza il proprio lavoro può dare fastidio, provocando reazioni scomposte, se non addirittura minacce e raffiche di querele. 

E sono sempre più numerosi, in tutto il Paese, i cronisti che sono stati aggrediti, minacciati e insultati. Secondo i dati forniti da Ossigeno per l’informazione, in occasione del convegno che abbiamo organizzato a Palermo per celebrare i suoi dieci anni di attività, in Sicilia solo nel 2018 (fino al 31 ottobre) i giornalisti minacciati sono stati 34, il 15% su un totale nazionale di 226. Dal 2011 a oggi i giornalisti minacciati nell'Isola sono stati 331. Il 5,9% ha subito aggressioni, il 67% avvertimenti, l'11,8% danneggiamenti, il 14,7% denunce e azioni legali.

Il caso più eclatante degli ultimi tempi è quello del collega Paolo Borrometi, che vive da cinque anni sotto scorta per le numerose minacce ricevute. Ma ad aprile scorso il livello si è alzato ed è stato sventato appena in tempo un piano per farlo saltare con un’autobomba. Quattro gli arrestati. L’ultima minaccia a Borrometi è giunta il 22 gennaio scorso, poco dopo una conferenza stampa a Roma in cui abbiamo annunciato che gli era stato assegnato il Premio Giuseppe Francese.

Ricordiamo anche la brutale aggressione a Stefania Petyx che durante un servizio per Striscia la Notizia su un immobile occupato abusivamente è stata presa a calci e pugni, e poi spinta giù per le scale, finendo in ospedale.

Ma non ci sono solo minacce e violenza fisica per tentare di fermare il lavoro di un giornalista. Salvo Palazzolo, di Repubblica, ha scritto a marzo scorso della chiusura delle indagini a carico di tre poliziotti accusati di avere depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio in cui morì il giudice Borsellino e sei mesi dopo viene indagato per violazione di segreto d’ufficio. Le forze dell’ordine, su disposizione della Procura di Catania, gli sono piombate a casa, sequestrandogli computer e cellulare, per cercare di individuare le sue fonti. Tutto questo molti mesi dopo avere pubblicato la notizia. Quale necessità, quale urgenza c’era? Trattato come un criminale davanti ai familiari solo per avere fatto bene il proprio lavoro: la notizia c’era, era suo dovere di cronista darla.

Uno “sportello” per l’incubo querele

A togliere il sonno a molti colleghi ci sono anche le querele bavaglio e le richieste di risarcimento civile a mero scopo intimidatorio. Emblematico il caso di Accursio Sabella, direttore di LiveSicilia, citato in giudizio addirittura per stalking da Patrizia Monterosso, direttrice della Fondazione Federico II ed ex segretario generale della Presidenza della Regione siciliana, per gli articoli scritti dal collega su di lei. Accuse ritenute prive di fondamento e perciò archiviate dal Gip. Accuse inverosimili, che dimostrano per l’ennesima volta il fastidio avvertito dalla burocrazia e da certa politica verso le critiche della stampa libera, con conseguenti tentativi di intimidirla ricorrendo sempre più spesso a querele e a richieste di risarcimento pretestuosi, diventati strumenti di intimidazione di massa. Lo confermano i dati del ministero della Giustizia presentati da Ossigeno nel convegno del 13 dicembre scorso a Palermo: negli ultimi tre anni il 90% delle querele per diffamazione sono state archiviate prima del dibattimento. 

In Sicilia, prendendo come riferimento gli anni 2014-2015, si registrano 437 querelati annui, (un buon numero sono giornalisti) di cui 400 vengono prosciolti dopo processi che durano da due a sei anni: una percentuale dell’87%, lievemente inferiore alla media nazionale. Il precedente Parlamento non ha mantenuto l’impegno di porre un freno a questo tipo di azioni, ma non è più rinviabile un intervento legislativo che preveda per il querelante, le cui ragioni sono considerate pretestuose, il pagamento di una somma proporzionale all'importo richiesto alla controparte.

Nel frattempo non possiamo che accogliere come Ordine il grido di allarme di molti colleghi, stufi di essere bersagliati da querele temerarie, che comunque ti sottraggono energie e anche non pochi soldi per poterti difendere. Per questo motivo abbiamo deciso di costituire uno sportello legale gratuito per i colleghi, grazie alla collaborazione degli avvocati Marcello Montalbano e Salvatore Ferrara, di Palermo, che ringrazio per avere accettato di mettere al servizio dei colleghi la loro competenza. E un protocollo di intesa per l’assistenza dei giornalisti abbiamo messo a punto anche con l’Ordine degli Avvocati di Messina. Iniziativa che contiamo di allargare ad altre province.

Uffici stampa e un osservatorio per il giusto compenso

In questo momento assai difficile per la nostra categoria, tutti siamo chiamati a farci un esame di coscienza e a non chiudere gli occhi davanti a tante situazioni disarmanti di precarietà e sfruttamento. Il nostro "Testo unico dei doveri del giornalisti", per esempio, al punto 3 dell’articolo 2 ci ricorda che il giornalista “tutela la dignità del lavoro giornalistico e promuove la solidarietà fra colleghi attivandosi affinché la prestazione di ogni iscritto sia equamente retribuita”. Una responsabilità che investe tutti e, a maggior ragione, i direttori responsabili delle testate. 

Abbiamo espresso la volontà di creare, assieme all’Assostampa, un Osservatorio sul giusto compenso, per avviare un monitoraggio che consenta di avere una fotografia aggiornata del mondo dell’informazione nell’Isola, per vedere chi e quanti lavorano nei giornali, nell’on line, nella emittenza tv e radiofonica, in che condizioni contrattuali, con quali compensi. Una proposta, la nostra, che è stata accolta dal sindacato dei giornalisti: l’avvio dell’Osservatorio sarà annunciato tra  qualche giorno.

Con il segretario regionale dell’Assostampa, come già con il suo predecessore, abbiamo avviato incontri periodici per un utile confronto sui temi della categoria. Come Ordine seguiamo con molta attenzione gli sviluppi del serrato confronto tra l’Assostampa e l’Aran per sbloccare la vicenda del concorso per il nuovo ufficio stampa della Regione, vicenda che sembra essersi impantanata sul modello di contratto da applicare. Ci auguriamo che possa prevalere il buon senso, trovando una soluzione che soddisfi tutti. Al contempo ci auguriamo che, come promesso dal presidente della Regione Nello Musumeci, si possa avviare al più presto una nuova fase di confronto anche per gli uffici stampa negli enti locali, che possono diventare uno sbocco occupazionale importante per molti giornalisti. Lo dicevamo lo scorso anno e lo ripetiamo anche questa volta: occorre fare chiarezza in questo settore, dove la legge 150 del 2000 viene sistematicamente disattesa. E la Regione, in questo senso, può svolgere un’importante funzione di stimolo, dando precise direttive alle amministrazioni.

 

Aumenta la crisi, diminuiscono gli iscritti

Nel frattempo, le difficoltà dei colleghi a trovare lavoro sono sotto gli occhi di tutti e le riscontriamo ogni giorno. Basta guardare i numeri: gli iscritti all’Albo continuano a diminuire. Sono 4846 in totale, tra professionisti, pubblicisti, praticanti, direttori iscritti all’elenco speciale, contro i 5009 dello scorso anno: 163 in meno. Stabile il numero dei professionisti, 1047, mentre continua a calare il numero dei pubblicisti: oggi sono 3641, 105 in meno rispetto a un anno fa. E 155 sono gli iscritti nell’elenco speciale, 21 in meno. Diminuiscono anche i praticanti, 22. Un anno prima erano 39. La novità è la costituzione di un elenco per le società tra professionisti, attualmente ne è iscritta solo una. Ma sono soprattutto le cancellazioni, 227 complessivamente da aprile a febbraio scorso, a rendere palese le difficoltà dei colleghi. E se a chiedere la cancellazione per mancanza di lavoro e l’impossibilità di poter pagare la quota sono stati in 36 contro gli 88 dell’anno prima, colpisce l’impennata di quelli cancellati per morosità, che sono 117, ben 29 in più di quelli “tagliati” per lo stesso motivo nei 12 mesi precedenti. Le revisioni hanno prodotto altre 50 cancellazioni. Si tratta di colleghi che o non hanno risposto all’invito a documentare la propria attività o che, in ogni caso, non hanno potuto dimostrare di esercitare la professione: non lavorano o, se lavorano, non vengono retribuiti. Poi ci sono state anche 9 cancellazioni per decesso e altre 15 per trasferimento in altro Ordine regionale.

La riduzione degli iscritti e la difficoltà ad incassare le quote, si riflette anche sulle risorse dell’Ordine. Risparmiare, razionalizzare, modernizzare: è questo un percorso obbligato per mantenere un livello alto di efficienza. Stiamo per fare partire la prima fase della digitalizzazione degli archivi cartacei. Siamo ancora costretti a spendere parecchi soldi in raccomandate, perché una gran parte dei colleghi non è dotata di pec, che pure è obbligatoria per i giornalisti: su quasi 5 mila iscritti ad averla è circa la metà. E la maggior parte di chi ce l’ha non la usa, rendendo le comunicazioni difficili, costringendo gli uffici a un surplus di lavoro, a uno spreco di tempo e di denaro.

Formazione, meno corsi e più qualità

Anche nella formazione, dove dallo scorso anno ci siamo impegnati ad alzare l’asticella della qualità, abbiamo introdotto degli elementi di novità, come le dirette in streaming. Siamo in una fase sperimentale, l’evento effettuato in una sede, grazie alle tecnologie, può essere seguito a distanza in più sedi attrezzate per ricevere il segnale. Così il corso sul giornalismo di inchiesta, con Sigfrido Ranucci, di Report, nella sede dell’Ordine, è stata seguita in diretta dai colleghi riuniti in un’altra sede a Siracusa che hanno potuto anche interagire facendo domande e acquisire i crediti formativi. Lo stesso è avvenuto con quello di “Ossigeno” su la liberta di stampa e i giornalisti minacciati. Se l’esperimento dovesse funzionare, incontrando il favore dei colleghi, con lo streaming potremmo risparmiare riducendo il numero degli eventi, investendo sulla qualità degli argomenti e dei relatori. Già diversi colleghi, d’altra parte, hanno dimostrato di preferire le opportunità offerte dalla tecnologia, acquisendo i crediti formativi direttamente da casa attraverso i corsi on line. Una tendenza in aumento. 

Per quanto riguarda i temi trattati, oltre ai già citati corsi con Sigfrido Ranucci, con “Ossigeno”, su Mauro Rostagno al teatro Biondo, nel trentennale della sua morte, con la partecipazione delle scuole, abbiamo prestato molta attenzione al tema dell’impatto tecnologico sulla nostra professione ed i suoi sviluppi futuri. Molto apprezzati e partecipati gli eventi sul ruolo dei social media, sulle fake news e le tecniche per contrastarle, sulle querele temerarie, sulle regole deontologiche a garanzia della professione, sul Manifesto di Venezia per una corretta informazione contro la violenza sulle donne, sul giornalismo di strada, con cui abbiamo aperto uno spiraglio sul giornalismo sociale. E una maggiore attenzione abbiamo voluto dedicare anche ai temi economici, partendo dalla “lettura dei dati sul mercato del lavoro”, con il professore Busetta, fino al recente incontro sulla “nuova carta deontologica dell’informazione economica e finanziaria”, con relatori di grandi livello tra cui il direttore della sede di Palermo della Banca d’Italia. 

Un grazie particolare va espresso all’Ordine degli avvocati di Messina con cui abbiamo realizzato un accordo che ha permesso di coprire in quella provincia tutto il 2018 con dodici eventi deontologici sul giornalismo.

Numero degli inadempienti ancora elevato

Uno sforzo notevole, come si può capire, per mantenere fede a una promessa di maggiore qualità, anche se molto resta ancora da fare. Ma nonostante l’impegno, nonostante nei primi due anni del secondo triennio si siano organizzati 408 incontri, con una media di 204 eventi per anno, si notano ancora non poche defezioni tra i colleghi. Il triennio non è ancora concluso, ma riscontriamo a oggi un 36,59% di giornalisti che hanno già raggiunto il target. Restano ancora 3.206 colleghi che dovranno acquisire crediti formativi entro la fine dell’anno. Una buona parte riuscirà a mettersi in regola, ma il numero degli inadempienti resta ancora elevato. Nel triennio precedente il numero totale dei crediti obbligatori è stato raggiunto da 3.642 colleghi, ovvero dal 72,03% degli iscritti. Per la percentuale restante, di cui una buona parte a zero crediti, il Consiglio di disciplina è tenuto a fare scattare le sanzioni, con le difficoltà di comunicazione che vi ha già esposto il presidente D’Anna a causa della mancanza di pec di molti. Quello che deve essere chiaro, soprattutto per quelli a zero crediti, è che devono cercare di acquisire entro questo anno il maggior numero di crediti possibile, anche on line, mostrando di volere in qualche modo rimediare, per non incorrere in sanzioni pesanti come quella della sospensione.

Molti motivi per dire grazie

Vorrei ringraziare il nuovo Cdt e il suo presidente Gianfranco D’Anna per l’abnegazione e l’impegno: si sono ritrovati già subito dopo l’insediamento del luglio scorso ad affrontare temi delicati e complessi come la vicenda Ciancio, il caso Montante e la questione degli inadempienti della formazione. Il mio ringraziamento va anche al personale tutto che mi ha supportato egregiamente e dei cui suggerimenti ho fatto tesoro. Una parola in più vorrei spendere per i consiglieri. Ci siamo messi alle spalle un anno duro, ma che è servito a conoscerci meglio. Alla fine è prevalsa la volontà di operare compatti nell’interesse dei colleghi, rimescolando le carte interne, ridefinendo i ruoli. Gli incarichi di segretario e tesoriere sono passati a Concetto Mannisi e Filippo Mulè che ringrazio per avere accettato di mettere al servizio di tutti la loro esperienza. Ma un ringraziamento particolare devo anche ai consiglieri della mia maggioranza che hanno condiviso la volontà di dialogo e apertura, in particolare Maria Pia Farinella e Santo Gallo per la scelta di fare un passo di lato allo scopo di ridare serenità e slancio all’azione del Consiglio. Preziosa la collaborazione dei revisori dei conti con le loro osservazioni puntuali e precise che abbiamo tenuto sempre nel debito conto.

L’ultimo ringraziamento lo devo ai colleghi che mi hanno dato una mano per l’organizzazione del Premio Francese. Da quelli della commissione giudicatrice, ai tutor che hanno lavorato con le scuole anche quest’anno numerose, dai presentatori ai curatori dell’ufficio stampa e del sito dell’Ordine, in tanti si sono adoperati affinché l’edizione di quest’anno, per ricordare il quarantennale della morte mio padre, si svolgesse nel migliore dei modi. È voluto essere presente anche il presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti Carlo Verna, che ringrazio per la sua affettuosa vicinanza. Il Premio è stato presentato nella sede dell’Ordine a Roma, dove abbiamo potuto illustrare anche i risultati di una ricerca nazionale da noi voluta e affidata all’Istituto Demopolis su come si informano gli under trenta in Italia. E quella che si è svolta nella splendida cornice del Teatro Santa Cecilia, arricchita dalla straordinaria esibizione di Salvo Piparo, è stata una edizione del Premio riuscita come meglio non poteva, con il pienone di pubblico tra cui molti studenti e grande copertura mediatica. Un evento di cui si è parlato per parecchi giorni e non solo a Palermo. Da figlio e da presidente dell’Ordine per me è stata una emozione doppia. Grazie a tutti.

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