Il collaboratore fisso può essere pubblicista?
La Sezione Lavoro della Suprema Corte, con ordinanza interlocutoria n. 14262 del 24 maggio 2019 (presidente Federico Balestrieri, relatore Carla Ponterio), su conforme richiesta del sostituto procuratore generale Rita Sanlorenzo, ha accolto le tesi dei legali di una collaboratrice del quotidiano Il Sole 24 Ore e ha sostenuto la legittimità dell’attività giornalistica svolta, anche in modo esclusivo e continuativo, dal collaboratore fisso iscritto nell’elenco dei pubblicisti, in quanto la legge n. 198 del 2016 ha esplicitato che “nessuno può assumere il titolo, né esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell’elenco dei professionisti ovvero in quello dei pubblicisti dell’albo istituito presso l’Ordine”, risultando le caratteristiche delineate dall’art. 2 del Contratto nazionale di lavoro giornalistico Fieg-Fnsi (continuità di prestazione, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio) assolutamente compatibili con quelle descritte dall’art. 1 della legge n. 69 del 1963 (attività giornalistica non occasionale e retribuita, e non necessariamente esclusiva, potendo il pubblicista esercitare anche altre professioni o impieghi).
Ma la stessa Cassazione, con sentenza n. 3177 del 2019, aveva, invece, rafforzato il concetto di esclusività a favore solo del giornalista professionista, da qui l’evidente contrasto, perché si dovrebbe escludere la nullità del rapporto di lavoro del pubblicista collaboratore fisso qualora svolga anche altre professioni, ed invece rendere nullo il rapporto se il pubblicista svolge le stesse mansioni come collaboratore fisso, in modo esclusivo e quindi senza svolgere altre professioni. Alle sezioni Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione dunque, l’ardua sentenza.