Palermo, pm accusa la stampa di aver 'coperto' un trafficante di esseri umani. L'Assostampa: «Inaccettabile»
«Non si può pensare che ci siano giornalisti che decidono a tavolino di avviare campagne a favore di criminali. Ben altra cosa è portare avanti inchieste giornalistiche che possono non piacere a qualche magistrato, ma che nella libertà e nell'autonomia professionale del cronista contribuiscono a fornire punti di vista diversi da quelli che emergono dalle inchieste delle procure», rileva il sindacato regionale.
«L'Assostampa Siciliana non può che respingere le inaccettabili affermazioni del pm Geri Ferrara che nel corso della requisitoria del processo a Mered Medhanie Yedhego, eritreo accusato di essere a capo di una delle maggiori organizzazioni di trafficanti di uomini, a giudizio davanti alla corte d'assise di Palermo, avrebbe affermato che 'una campagna stampa è stata per coprire il trafficante'». Questa la risposta del sindacato regionale agli attacchi rivolti ai giornalisti dal magistrato.
«Il traffico di essere umani – prosegue l'Assostampa – è certamente un atto riprovevole, ma non si può pensare che ci siano giornalisti che decidono a tavolino di avviare campagne a favore di criminali. Ben altra cosa è portare avanti inchieste giornalistiche che possono non piacere a qualche magistrato, ma che nella libertà e nell'autonomia professionale del cronista contribuiscono a fornire punti di vista diversi da quelli che emergono dalle inchieste delle procure».
I giornalisti, conclude il sindacato regionale, «rispettano sempre l'operato della magistratura e per questo chiedono rispetto per il loro lavoro e la loro autonomia. Le parole di Ferrara ci sono apparse fuori luogo soprattutto perché provengono da un inquirente che conosce bene la freschezza e la libertà dell'articolo 21 della Costituzione italiana».
Migranti: processo al 'Generale'. La procura: «Nessun attacco ai cronisti»
«Nessun attacco è stato rivolto ai giornalisti come si evince anche dalla registrazione integrale della requisitoria depositata in Corte di assise». È la precisazione che proviene dalla procura di Palermo in merito al processo al trafficante di esseri umani, Medhanie Yedhego – detto 'il generale' – che si celebra davanti alla Corte di assise di Palermo. Sulla vicenda sono intervenuti Ordine dei giornalisti di Sicilia e Assostampa. Ieri l'accusa ha svolto la requisitoria chiedendo, dopo una lunga discussione, una condanna a 14 anni di reclusione per l'imputato, accusato di essere a capo di una organizzazione transnazionale che gestisce il traffico di esseri umani tra l'Africa e l'Europa. L'uomo è stato arrestato a Khartoum a maggio 2016 su mandato della Procura di Palermo in collaborazione con la Nca britannica e la polizia sudanese ed è stato estradato in Italia a giugno dello stesso anno. Fin dal suo arrivo in Italia – anche attraverso il suo legale, l'avvocato Michele Calantropo – ha invocato l'errore di persona, sostenendo di essere un profugo eritreo, falegname, di nome Medhanie Tasmafarian Behre.
Il processo è iniziato – dinanzi alla Corte d'assise – a ottobre 2017. Il pubblico ministero – in aula Claudio Camilleri e Calogero Ferrara – ha anche parlato dei 'collegamenti accertati con soggetti presenti a Palermo e la conferma della campagna di stampa avviata per coprire il trafficante'. Riferendosi in particolar modo alla deposizione della teste Meron Estefanos, giornalista svedese di origine eritrea, sentita in Corte d'assise il 22 gennaio 2018. Secondo l'accusa – che ha anche depositato una memoria di oltre 600 pagine – uno dei testi chiave nell'ottica difensiva doveva essere la giornalista, «attivista dei diritti umani dei profughi eritrei che si è fatta sin dall'inizio promotrice della campagna di stampa» finalizzata a proteggere l'imputato, «spargendo in giro una serie di fake news che venivano clamorosamente smentite durante la sua deposizione testimoniale».
Per quanto riguarda 'collegamenti accertati presenti a Palermo', il pm ha fatto riferimento a Tesfay Haile Fishaye che – secondo l'accusa – «era uno dei soggetti che l'avvocato difensore di Medhane aveva indicato come un familiare dell'arrestato nell'istanza per l'ammissione al colloquio con il detenuto, non allegando però alcuna documentazione che attestasse tale rapporto di parentela». Inoltre – è quanto sostenuto dal pm – 'Fisha', sentito come teste, era in contatto con un giornalista (del Guardian) che doveva realizzare un video documentario sulla vicenda Mered. (Agi)