Dumping contrattuale, come si distrugge la “buona occupazione”: precarizzazione dei giornalisti e concorrenza sleale tra editori
Si scrive "dumping" ma si legge "ribasso": di compensi, tutele, welfare, equità, qualità, dignità, garanzie. Un'arma di distruzione della "buona occupazione".
Il settore dell’informazione continua a subire il processo di transizione verso il web e i social media, in cui viene resa disponibile attraverso dispositivi digitali e tecnologie in continua evoluzione un’enorme quantità di contenuti diffusi velocemente, troppo spesso di bassa qualità e realizzati a basso costo, che mortificano l’attendibilità del buon lavoro giornalistico e rendono difficile il contrasto al fenomeno delle fake-news.
Alla crisi che da decenni accompagna il settore, gli editori di testate giornalistiche hanno generalmente reagito sempre nel modo più diretto e semplice, con tagli agli organici e al costo del lavoro. Una costante opera di distruzione della "buona occupazione".
Gli editori vogliono da un lato un basso numero di occupati regolari e con contratti depotenziati, dall'altro poter disporre di un'ampia forza lavoro di giornalisti lavoratori autonomi da pagare molto meno dei subordinati, benché sia autonomi che dipendenti siano indistintamente utilizzati per la realizzazione dei contenuti dell’identico prodotto giornalistico.
Non è una novità che il sistema dell’informazione in Italia presenti alcune inspiegabili lacune normative. Sull'equo compenso, i giornalisti sono l’unica categoria ordinistica per la quale dal 2012 si attende l'emanazione dei parametri ministeriali minimi dei compensi, previsti dalla legge 27, mentre si aspetta l’attuazione della legge 233 sull’equità retributiva tra dipendenti e autonomi nelle redazioni.
Alla mancanza di norme di attuazione del diritto all’equo compenso sancito dall’art. 36 della Costituzione si aggiunge quella relativa all’art. 39 sulla libertà dell'organizzazione sindacale, che consente il dumping contrattuale.
Se da una parte, per la nota lacuna sull’attuazione dell’art. 39 della Carta (nelle procedure di registrazione dei sindacati), non si può impedire la coesistenza di più contratti collettivi nazionali di lavoro nello stesso settore, dall’altra però è consolidato da tempo l’indirizzo giurisprudenziale (Corte Costituzionale e Cassazione) che ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria.
In sostanza però, non è possibile impedire a una qualsiasi associazione di autodefinirsi rappresentativa e di concludere un accordo «nazionale» nello stesso settore in cui sono vigenti altri accordi nazionali firmati da organizzazioni datoriali e sindacali di più ampia dimensione. I diritti dei lavoratori all'applicazione del contratto più vantaggioso vanno così tutelati per via giudiziaria.
Questo particolare vuoto normativo provoca il fenomeno del “dumping contrattuale”, cioè la stipula di contratti collettivi nazionali di lavoro da parte di organizzazioni poco rappresentative, che esercita una pressione al ribasso sulle retribuzioni dell’intero comparto e riduce il potere contrattuale dei sindacati con una reale maggiore consistenza di iscritti. I contratti che operano in tal senso sono definiti «contratti pirata». Le aziende che li applicano non solo diminuiscono i compensi dei lavoratori ma, svolgendo in questo modo la loro attività con costi minori, agiscono in regime di concorrenza sleale nei confronti dei loro concorrenti.
Per contrastare il dumping contrattuale il 19 settembre 2019 Cgil, Cisl e Uil e Confindustria hanno sottoscritto con Inps e Ispettorato Nazionale del Lavoro una convenzione, alla presenza del ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Nunzia Catalfo, con l’obiettivo di definire una strategia comune per la misurazione e la certificazione della effettiva rappresentanza sindacale.
Uno strumento fondamentale per il contrasto al dumping contrattuale è quello previsto dal disegno di legge presentato dal Cnel nel 2019 e attualmente in discussione al Senato, sull’anagrafe dei Ccnl. Il ddl prevede la creazione di un codice unico di identificazione dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro nazionali. L’adozione del codice unico consentirebbe al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), depositario dei Ccnl sottoscritti (ad oggi circa 900 nei più svariati settori economici), e l’Inps, che gestisce i flussi delle denunce contributive e retributive in cui il datore di lavoro ha l’obbligo di indicare il particolare Ccnl applicato, di incrociare i dati in tempo reale. Si avrebbe quindi un quadro generale costantemente aggiornato dei Ccnl applicati nel Paese nonché del loro effettivo peso, sulla base del numero di aziende che li applicano e del numero di lavoratori a cui sono applicati.
Approvata la norma, sarebbe quindi possibile disporre di una base di dati oggettivi di riferimento per intervenire sulle segnalazioni di eventuali pratiche sleali e comunque per stabilire per ogni categoria quali siano i “contratti leader” che soddisfano il criterio di maggiore rappresentatività, conformi al diritto garantito dall’articolo 36 della Costituzione ad ogni cittadino di una retribuzione dignitosa e proporzionata alla quantità e qualità del proprio lavoro.
È di stretta attualità il tema che riguarda in particolare la contrattazione collettiva nel settore delle testate giornalistiche sul web e dei periodici a carattere locale. La Fnsi il 24 ottobre 2019, secondo le disposizioni previste all’art. 31, ha annunciato la disdetta del contratto collettivo Fnsi-Uspi del 24 maggio 2018 (la scadenza prevista era il 31 maggio 2020), che aveva registrato un numero di circa 300 contrattualizzati, molto inferiore alle aspettative. L’Uspi il 23 settembre 2020 ha siglato un accordo con la Cisal (che non è un sindacato di giornalisti ma una confederazione di sindacati autonomi) aderendo ad un contratto preesistente, che riguarda genericamente il “Terziario Avanzato” e che prevede anche (aspetto controverso) profili professionali di natura giornalistica. Successivamente, il 15 ottobre Uspi ha firmato un contratto con Cisal che disciplina espressamente rapporti di lavoro di natura redazionale nei settori dell’informazione e della comunicazione. A questo punto la Fnsi ha dichiarato l’interruzione dei rapporti con l’USPI e, a tutela dei propri iscritti, il 29 ottobre ha stipulato un contratto per il settore testate periodiche e web locali con Anso-Fisc.
La Fnsi in merito ha affermato: “Il protocollo Uspi-Cisal non è un contratto giornalistico. L'Uspi lo ha sottoscritto con un sindacato di comodo, la Cisal per l'appunto. E adesso Citynews (editore aderente Uspi) che per dimensione e tipologia di attività è entrata nell'ambito di applicazione del contratto Fieg-Fnsi, chiede ai propri giornalisti di aderire all'applicazione del protocollo Uspi-Cisal. Si tratta, evidentemente, di un messaggio fuorviante”.
La lotta per la "buona occupazione" continua ad essere lunga e difficile.
Tags: dumping, lavoro autonomo