Si allarga il gender pay gap, aumentano le donne professioniste
Adepp, in aumento le donne iscritte alle casse di previdenza, ma le infrastrutture sociali sono inadeguate
E’ in atto una progressiva crescita della presenza femminile in tutte le categorie professionali, con le donne che svolgono alcune professioni finora ritenute prettamente “maschili”, con differenze di reddito dovuta al genere e riscontrabile in tutte le fasce. Il reddito delle professioniste dai 30 anni in giù è circa il 20% in meno, rispetto a quello dei colleghi uomini: per questi ultimi, infatti, la media delle entrate è di 15.129 euro, mentre per le donne è di 12.102. E, nella fascia anagrafica che si distingue per i maggiori guadagni – quella fra i 50 ed i 60 anni – a fronte di una media generale di 47.291 euro per entrambi i sessi, gli uomini arrivano a quasi 54.800 euro, la componente femminile si ferma a poco più di 32.000.
Sono i risultati dell’ indagine svolta dall’ Adepp nel corso dell’anno 2022 che ha coinvolto 16 enti di previdenza, tra cui INPGI, e una platea di circa 107 mila iscritti di cui 45 mila donne e 62mila uomini, che rappresentano il 10% degli iscritti. In INPGI, il 42% degli iscritti sono donne, il 58% sono uomini.
Nel periodo 2007-2021, la percentuale di iscritte donne è cresciuta notevolmente, passando dal 30 al 42% del totale ma con grosse differenze per fasce d’età con la conseguenza che l’età media delle donne professioniste e di circa 45 anni, contro i 50 degli uomini, e tra gli “under 40” le donne sono circa il 54%, percentuale che decresce con l’aumentare dell’età. Seppur in maniera più ridotta rispetto al passato, il care burden – ovvero l’onere dell’assistenza – rimane maggiormente a carico delle donne e questo rappresenta un fattore determinante degli squilibri che caratterizzano da sempre i ruoli di genere nel mercato del lavoro. Dal punto di vista della distribuzione per aree geografiche, è al Sud e nelle Isole che i familiari prestano maggiormente attività di assistenza, con il prevalere di una peggiore situazione occupazionale o di una debolezza del sistema di welfare locale rispetto ad altre aree d’Italia. Una professionista che esercita la sua attività al Nord, è coadiuvata maggiormente nella gestione familiare da figure esterne (baby sitter, asili, centri ricreativi per l’infanzia) mentre al Sud, poiché le infrastrutture sociali sono meno presenti e i servizi più carenti, l’aiuto della famiglia risulta indispensabile per garantire la conciliazione vita-lavoro.
“Le professioniste dedicano meno ore all’attività professionale: a fronte del 59% degli uomini che dedicano più di 8 ore al giorno, le donne si fermano al 40% – ha spiegato la presidente dell’Istituto di previdenza dei giornalisti, Marina Macelloni – questo perché da una parte devono dedicare molte più ore alla cura dei figli e dei familiari non autosufficienti e dall’altra non sempre possono usufruire di infrastrutture sociali adeguate. Inoltre, anche a causa dell’invecchiamento progressivo della popolazione vengono a mancare gli aiuti attualmente offerti dalle famiglie di origine. Le differenze legate al genere toccano solo il 24% degli intervistati, il grosso del gap che viene percepito dai nostri iscritti è la differenza legata all’area geografica. Chi esercita la professione al centro – nord ha più opportunità rispetto a chi vive al sud, sia in termini di reddito ma soprattutto per le infrastrutture presenti. L’assenza di welfare ed asili nido ha un effetto diretto sul lavoro delle donne”.
“A colpirci non è stato il senso di discriminazione, le donne infatti non si sentono discriminate, ma la mancanza di un sostegno infrastrutturale per permettere alle professioniste di affrontare situazioni oggettive, quali la genitorialità o la cura dei propri genitori” ha sottolineato Tiziana Stallone, vicepresidente AdEPP e presidente Enpab. “Tra le finalità di questa indagine vi è la volontà di individuare un’evoluzione futura del nostro welfare”.
“La componente femminile nel lavoro è la nostra chance di rilancio. Per il nostro Paese e per la nostra società” dichiara il Presidente dell’AdEPP e dell’Enpam, Alberto Oliveti. “Importante il concetto di conciliazione che è famiglia, prole, congiunti, con figlie che poi diventano ‘madri’ dei propri genitori. Per trovare il finanziamento a certe politiche di conciliazione dobbiamo fare Pil”.
“I problemi legati al genere sono molteplici e questo studio fotografa esattamente la realtà. Dalla differenza di reddito, dopo 5 anni dall’inizio del lavoro la donna guadagna il 20% in meno del collega uomo, al difficile ottenimento di incarichi apicali” ha sottolineato Mirja Cartia D’Asero, ad del Sole24Ore. “Anche le aziende devono fare la loro parte – ha aggiunto – riprodursi non deve essere un ostacolo alla carriera. E le donne devono investire su se stesse: anche se il tempo è merce rara la formazione è fondamentale per superare gli stereotipi”.
“Il problema della denatalità non lo affronteremo mai se non capiamo che il lavoro femminile è PIL” afferma Antonella Polimeni, rettrice della Sapienza Università di Roma. “Le donne studiano di più, si laureano con voti più alti ma dopo registriamo una dispersione rispetto alla collocazione lavorativa”.
Che il lavoro libero professionale al femminile richieda maggior sacrificio rispetto a quello dei colleghi uomini si rileva anche dal dato delle cancellazioni delle professioniste. Il numero delle donne che si cancellano dalla propria Cassa di appartenenza è maggiore di quello dei loro colleghi uomini – soprattutto nella fascia di età 30-40. L’abbandono è ascrivibile, anche in questo caso, a una nuova collocazione all’interno del mercato del lavoro. Altro dato che emerge è che le professioniste non rivendicano pari dignità al compenso, bensì pari prospettive di lavoro. Da qui la necessita di intervenire e consentire alle libere professioniste di impegnarsi nel lavoro, superando le barriere geografiche e territoriali del paese.
Per veder la registrazione del Focus “Donne Professione” organizzato da ADEPP cliccare QUI