| | "Pillole" di deontologia professionale
La deontologia professionale è un obbligo fondamentale della nostra
professione. L’Ordine, in caso di violazioni, deve comminare le relative
sanzioni disciplinari che sono, a seconda della gravità della mancanza,
l'avvertimento; la censura; la sospensione dall'esercizio della professione
per un periodo non inferiore a due mesi e non superiore ad un anno; la radiazione
dall'Albo.
La tutela dei minori, cui si riferisce la Carta di Treviso e la correttezza
dell'informazione e del comportamento del singolo giornalista, cui attiene
la Carta dei Doveri, sono oggetto delle carte fondamentali della deontologia
professionale e sono il frutto di un lungo dibattito interno che la categoria,
forse e purtroppo, non ha ancora del tutto fatto proprio. A questi due fondamentali
documenti si aggiungono il codice di autoregolamentazione tv e minori, il
codice di deontologia sulla privacy, la carta dei doveri dell’informazione economica,
la carta dei doveri del giornalista degli uffici stampa.
Tutti questi documenti si possono consultare sul sito dell’Assostampa
Sicilia (www.assostampasicilia.it), su quello della Fnsi (www.fnsi.it) e su
quello dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia (www.odgsicilia.it). Per
brevità, non ci soffermiamo sui contenuti – tutela dei minori
e della privacy, doveri di correttezza nell’informazione economica e
negli uffici stampa - di questi documenti, ai quali vi rinviamo.
Ricordiamo però qualche regola di deontologia spicciola che talvolta,
nel lavoro quotidiano, si dimentica.
Chi è addetto stampa di un Comune o ricopre cariche politiche e/o istituzionali
in un Comune non può scrivere articoli su quel paese, tranne che si
tratti di articoli che nulla hanno a che vedere con l’amministrazione
(ad es. articoli di cronaca nera che non coinvolgano alcun rappresentante dell’amministrazione
comunale).
Chi organizza una manifestazione o vi è in qualche modo coinvolto, anche
se è giornalista non può mandare i relativi comunicati stampa
o scriverne sulle testate: è ovvio che c’è un palese problema
di conflitto di interesse.
I redattori che lavorano per una testata giornalistica non possono accettare
consulenze riguardanti le tematiche che normalmente seguono nei loro incarichi
aziendali.
Non si possono accettare pagamenti, rimborsi spese, elargizioni, vacanze
gratuite, trasferte, inviti a viaggi, regali, facilitazioni o prebende, da
privati o
da enti pubblici, che possano condizionare il lavoro e l'attività redazionale
del giornalista o lederne la credibilità e dignità professionale.
I giornalisti non possono assumere incarichi e responsabilità in contrasto
con l'esercizio autonomo della professione, né possono prestare il nome,
la voce, l'immagine per iniziative pubblicitarie incompatibili con la tutela
dell'autonomia professionale.
Informazione e pubblicità devono essere sempre distinte: l’informazione
pubblicitaria deve essere sempre riconoscibile in maniera chiara dal lettore
e/o dal telespettatore.
L’addetto stampa non può, in nessun caso, impedire a un giornalista
il contatto diretto con le fonti primarie dell’informazione, anzi è tenuto
ad agevolare la possibilità di accedere alle informazioni.
Va ovviamente da sé – ma è sempre bene ricordarlo – che
la Legge istitutiva dell'Ordine dei giornalisti (n. 69, 3 febbraio 1963) all’art.
45 sull’esercizio della professione recita testualmente: “Nessuno
può assumere il titolo né esercitare la professione di giornalista,
se non è iscritto nell'Albo professionale. La violazione di tale disposizione è punita
a norma degli art. 348 e 498 del Codice penale, ove il fatto non costituisca
un reato più grave”. E’ la norma sull’esercizio abusivo
della professione, la cui violazione tanti posti toglie ai giornalisti disoccupati. | | | |