Minacce a Borrometi: Cassazione dispone appello-bis su aggravante mafia
La Federazione della Stampa al fianco del collega anche nel nuovo processo da celebrare dopo che la Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza con cui nel 2019 i giudici di Catania hanno condannato Francesco De Carolis, accusato di tentata violenza privata, senza riconoscere l'aggravante del metodo mafioso.
Un processo d'appello bis a Catania che riguarderà l'aggravante del metodo mafioso. È quanto disposto dalla quinta sezione penale della Cassazione nel procedimento che vede imputato Francesco De Carolis per le minacce rivolte al giornalista Paolo Borrometi, vicedirettore dell'AGI.
I giudici di piazza Cavour hanno infatti annullato con rinvio la sentenza che era stata emessa dalla Corte d'appello di Catania il 4 aprile del 2019, con la quale la pena per l'imputato, accusato di tentata violenza privata, era stata fissata in 2 anni, 4 mesi e 20 giorni, e non era stata riconosciuta l'aggravante del metodo mafioso, che, invece, era stata ritenuta sussistente dal tribunale di Siracusa in primo grado nel 2018, quando De Carolis era stato condannato a 2 anni e 8 mesi.
«L'annullamento con rinvio della suprema Corte certifica la bontà della tesi sostenuta sin dalle origini (e accolta in primo grado dal tribunale di Siracusa) dalla difesa della Fnsi: Paolo Borrometi è stato vittima di minacce aggravate dal metodo mafioso. La Federazione nazionale della Stampa italiana è al fianco dei giornalisti coraggiosi nel tentativo di garantire, anche questa volta con successo, la libertà di opinione contro ogni forma di violenza». Questo il commento dei legali che assistono il sindacato, Roberto Eustachio Sisto e Francesco Paolo Sisto.
A ricorrere contro la sentenza d'appello, lamentando il mancato riconoscimento dell'aggravante, era stato il pg di Catania, le cui tesi erano state condivise dal sostituto pg di Cassazione Giovanni Di Leo, il quale aveva sollecitato l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. A tale richiesta si sono associate stamane in udienza anche le parti civili costituite nel processo: oltre a Borrometi, il Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti, la Fnsi e l'Ordine dei giornalisti della Sicilia.
Ora bisognerà dunque attendere il deposito delle motivazioni della sentenza e poi verrà fissato il procedimento d'appello bis a Catania.
"Sussiste l'aggravante" del metodo mafioso, perché "non si può prescindere dal contesto, qui non si tratta di insulti estemporanei". È quanto ha sostenuto in udienza il sostituto pg di Cassazione Giovanni Di Leo, davanti ai giudici della quinta sezione penale della Suprema Corte, ripercorrendo quanto già affermato nella requisitoria scritta depositata nei giorni scorsi per il processo che vede imputato Francesco De Carolis per le minacce al giornalista Paolo Borrometi.
Castello parlava con Giancarlo Buggea, rappresentante del capomafia agrigentino Giuseppe Falsone: "Ce ne sono articoli, questo qui, Borrometi, questo che è scortato", diceva Castello, "a parte il libro che ha fatto, ha fatto un post, pubblicato su La Sicilia di Catania, e vuole fare un film, vuole farlo su di me a quanto pare...". E ribadisce: "Siccome ha fatto prima il libro ora mira a fare il film tipo Saviano... e io sono stato pure dall'avvocato... dice 'che dobbiamo fare?'. Che dobbiamo fare? Ho detto: ca niente, che dobbiamo fare?, dissi, 'però teniamo presente...'. Dice "perché, vede, se ci fai una querela e il pubblico ministero l'archivia, non ce lo leviamo piu' di soprà. No - gli ho detto - io non devo fare niente... lasciamo stare, vediamo gli eventi come vanno". Per chi indaga, l'esigenza di Castello "era di mantenere un profilo sempre basso, quello dell'inabissamento che aveva rappresentato per il suo mentore, Bernardo Provenzano una regola di vita". E che una simile vicenda non riguardasse soltanto il singolo associato bersaglio delle inchieste giornalistiche, "ma coinvolgeva le necessità dell'intera associazione di rimanere invisibile rispetto alle possibili iniziative investigative che tavolta conseguono alle inchieste, si intuiva chiaramente nella decisione di Castello di richiedere ospitalità in altri paesi siciliani presso altre famiglie mafiose - quale quella capeggiata da Buggea - che dal canto loro si mostravano senza tentennamenti pronti a fornire protezione e assistenza logistica".