Venerdi, 22 novembre 2024 ore 15:48
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Gerosa: lettera aperta a Andrea Camporese e Raffaele Lorusso sul prelievo forzoso

riceviamo e pubblichiamo:

Carissimi,
mi permetto di scrivere ad un tempo ad entrambi in quanto la sorprendente comunanza di idee l’ineguagliabile sovrapponibilità dei progetti e la stupefacente consonanza di intenti mi fanno ritenere di poter parlare ad una persona sola.
Lorusso e CamporeseDunque ho letto con un misto di noia, rabbia e fastidio i due “pipponi” con i quali i due condottieri hanno voluto illustrare alla truppa la difficile situazione sul campo. Dopo aver dipinto a tinte fosche i travagli dell’INPGI orbata di nuovi assunti che possano con contributi freschi riequilibrare i conti dell’Ente oramai all’asfissia e dopo aver innalzato strazianti lai per i tanti, troppi, prepensionamenti, pensionamenti e affini tutti sul groppone del disastrato Ente di previdenza ci imbattiamo in un’autentica perla che definire infelice suona come un complimento. Dunque leggiamo ciò che l’uno dice e l’altro sottoscrive: “Il contributo di solidarietà a carico delle pensioni in essere, contestato da una minoranza rumorosa di pensionati, alla fine si riduce a un prelievo progressivo di poche decine di euro…”. C’è dunque una minoranza rumorosa che contesta?  E a chi si contrappone la minoranza rumorosa? Ma alla maggioranza silenziosa naturalmente! Quella che si sorbisce le penosissime, deliranti, pompose sbrodolature con le quali si chiedono improponibili sacrifici anche ai pensionati. In più con un disarmante pressapochismo, un’inaccettabile ipocrisia e una certa dose di malafede si vorrebbe sostenere che in fondo un prelievo di poche decine di euro non saranno poi la fine del mondo. E potrei essere d’accordo se anch’io avessi casa a Roma, uno stipendio da nababbo, auto, telefono, domestica e via elencando. Ma la realtà è ben diversa per migliaia di pensionati per i quali anche poche decine di euro in meno potrebbero rappresentare un problema.
C’è poi chi con accenti ultimativi attraverso un’analisi fin troppo elementare e  ferocemente primitiva pronunciata con cordiale arroganza vuole spiegarci che i tempi sono cambiati, che la situazione è diversa da quella di 20 anni fa e che quindi tutti dobbiamo contribuire, solidarizzare, farci carico.
Sono andato in pensione 10 anni fa e ora che ho raggiunto la veneranda età di 68 anni mi si viene a dire che la mia pensione, finora rimasta praticamente identica per ben due lustri, verrà decurtata seppure, come dicono i nostri illuminati, di “poche decine di euro”.
E allora sorgono spontanee alcune domande. L’attuale situazione, certo anche frutto di contingenze sfavorevoli, poteva essere evitata o, perlomeno, contenuta? Ci sono stati errori, ritardi, azioni incaute? Perché ora la resa dei conti e non anni addietro? Non c’è stata troppa leggerezza nel concedere esodi non sempre motivati? Non si è stati forse troppo possibilisti e generosi con la componente editoriale? La mia più che scontata risposta è un fragoroso sì a tutti questi quesiti. Come saprei ugualmente rispondere a quelle domande sulle responsabilità personali che tormentano molti nella categoria.
In conclusione dichiarandomi assolutamente contrario al cosiddetto contributo di solidarietà, in verità solo un prelievo forzoso, voglio ricordare che da quando sono andato in pensione dieci anni fa l’Inpgi ha continuato a dire che i conti erano in ordine e che le pensioni, tra le quali la mia, erano al sicuro. Se ora non è più così, vuol dire che qualcuno ha usato i miei soldi, quelli dei miei contributi, per altri. Ciò è del tutto inaccettabile. Con questa logica, un domani, mi si potrebbe obbligare a versare metà della pensione a un collega che pur avendone diritto non la riceve perché le casse dell’INPGI sono desolatamente vuote.
Ho svolto attività sindacale con tre mandati in tre diversi Comitati di redazione al Pccolo di Trieste, sono stato fiduciario per Trieste in seno all’Assostampa del Friuli Venezia Giulia. E poi consigliere in un successivo mandato e infine segretario dell’Assostampa del Friuli Venezia Giulia in un terzo e ultimo mandato. Con i colleghi sono riuscito a bloccare il piano di Monti che voleva pagine comuni con Nazione, Resto del Carlino e Giorno. Sono stato licenziato insieme a una decina di colleghi dall’editore successivo attraverso un piano di ristrutturazione e riassunto assieme ai soli due altri colleghi che hanno avuto la determinazione di fare causa. Ma come dite voi, la situazione è diversa da quella di 20 anni fa e anche chi faceva sindacato, come me e tanti altri all’epoca, forse non è poi più così presente all’interno della categoria.
Cesare Gerosa