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L’insostenibile equo compenso dei giornalisti. La riforma Meloni amplia le tutele che all’Ordine spetta esercitare

senato equocompenso

Lo scorso 20 maggio è entrata in vigore la legge Meloni sull’equo compenso di tutte le prestazioni d’opera intellettuale. La riforma ha allargato l’ambito dei committenti privati tenuti al rispetto di compensi minimi adeguati. Rafforzato il ruolo di tutela delle prestazioni libero professionali, che per i giornalisti istituzionalmente da sempre spetta all’Ordine.

La nuova legge 49/2023 consente al giornalista di impugnare il compenso corrisposto se inadeguato, chiedendo la nullità della pattuizione e la rideterminazione del corrispettivo; l’Ordine regionale rilascia parere di congruità, che ha valore di titolo esecutivo. Già da dicembre per il lavoro autonomo era stato introdotto “l’equo compenso a tempo”.

Sul concetto di “equo compenso” per i giornalisti occorre premettere una disambiguazione che riguarda tre distinte normative, perché l’espressione - oltre alla materia sui corrispettivi minimi di cui alla riforma Meloni appena introdotta, di competenza del ministero di Giustizia (ex legge 27/2012) - si riferisce anche al titolo dell’inattuata legge 233/2012 sulla perequazione delle retribuzioni del lavoro giornalistico nelle redazioni delle testate tra chi è assunto e chi non lo è, tema affidato al DIE-dipartimento per l'informazione ed editoria della Presidenza del consiglio dei ministri; è inoltre la denominazione usata per il riconoscimento dei diritti - e la ripartizione dei relativi importi tra editori e autori - per l’utilizzo dei contenuti giornalistici dai social media e web provider come Google e Facebook, regolamentato da Agcom nel gennaio 2023.

L’insabbiatissima “legge 233” non viene attuata - la relativa Commissione equo compenso presso la presidenza del Consiglio dei ministri non si riunisce da anni - semplicemente perché dovrebbero essere sanzionati tutti gli editori che generalmente non rispettano nemmeno gli importi minimi stabiliti nel contratto Fieg-Fnsi né quelli deliberati dalla stessa Commissione e bollati come incoerenti dal Consiglio di Stato, che li ha annullati.

L’attuazione dell’equo compenso ex “legge 27” oggetto della riforma, che riguarda tutti i giornalisti e non solo la perequazione retributiva nelle redazioni, è stata sempre ostacolata dall’assenza - al contrario di quanto posto a tutela delle altre professioni - di esplicite tabelle ministeriali di compensi e dalla difficoltà di applicare per analogia a videoreporter e addetti stampa i corrispettivi di prestazioni del tutto dissimili, come quelle di commercialisti e architetti. Da dicembre però per la prima volta il ministero di Giustizia ha quantificato i parametri del “compenso a tempo” per gli avvocati, che - stabilisce il DM 140/2012 - può essere quindi applicato analogicamente come criterio anche per i giornalisti. È il caso di ricordare che il compenso a tempo come parametro di equità era stato proposto formalmente dalla Fnsi al Governo con uno studio della propria Commissione lavoro autonomo nazionale sin dal 2013.

In Italia, in conformità al principio comunitario di libera concorrenza, non possono essere reintrodotte tariffe minime obbligatorie generalizzate, estese a tutti i possibili committenti. Per questo motivo la riforma Meloni ha potuto ampliare l’applicazione dell’equo compenso comprendendo solo i “contraenti forti”: alle grandi imprese, banche, compagnie assicurative e pubblica amministrazione, la legge 49/2023 aggiunge anche le cosiddette “medie imprese”, aziende con più di cinquanta dipendenti ovvero che abbiano presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro. Per le piccole imprese, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi i parametri ministeriali continuano a essere indicativi ma non vincolanti per il magistrato.

Per essere considerato equo, il compenso deve soddisfare tre condizioni: essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto, adeguato al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale nonché conforme ai parametri per la determinazione dei compensi previsti dalla legge. In merito, l’Ordine regionale emana pareri di congruità con valore di titolo esecutivo. Il Cnog è legittimato inoltre ad adire l'autorità giudiziaria competente qualora ravvisi violazioni delle disposizioni vigenti in materia di equo compenso. La nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all'opera prestata può essere chiesta dal singoli giornalisti o direttamente dall’Ordine.

I parametri dei compensi delle prestazioni professionali sono aggiornati ogni due anni su proposta del Consiglio nazionale dell’Ordine: per i giornalisti è dunque possibile proporre immediatamente l’emanazione delle specifiche tabelle. Quali i criteri per i parametri? Sul tavolo, tra le varie opzioni consolidate da valutare ci sono le seguenti: compenso a tempo, in analogia alle disposizioni vigenti per gli avvocati e in coerenza con le proposte ufficiali della Commissione lavoro autonomo Fnsi fin dal 2013; rivalutazione del Tariffario 2007, anche alla luce dello studio realizzato dal Cnog e notificato al ministero di Giustizia nel 2012 (per nessun ordine professionale sono stati emanati parametri “in peius” rispetto agli ultime tariffe con valore legale obbligatorio, prima dell’entrata in vigore del “Decreto Bersani”); corrispettivi espliciti sia per le singole prestazioni occasionali che per le collaborazioni continuative; coerenza dei compensi del lavoro autonomo con quelli del lavoro subordinato.

Le singole imprese hanno la facoltà (non l’obbligo) di adottare modelli standard di convenzione (i contratti "virtuosi" da stipulare con i singoli giornalisti), concordati con il Cnog, i cui compensi si considerano equi fino a prova contraria. Va richiamata a questo proposito la sentenza del Consiglio di Stato relativa all’annullamento della delibera di applicazione della legge 233/2012, che ha chiarito come l’equo compenso non può consistere in una trattativa che sancisce depotenziamento retributivo arbitrario e sperequazioni tra lavoratori dipendenti e chi non lo è, ma al contrario deve garantire la coerenza della remunerazione dei giornalisti lavoratori autonomi con quella dei subordinati.

La nuova legge prevede sanzioni per violazione dell’equo compenso sia da parte del giornalista che del committente. La sanzione verso il giornalista è solo deontologica e viene comminata dai consigli regionali dell’Ordine. Il giudice può invece condannare il committente al pagamento di un indennizzo in favore del professionista fino al doppio della differenza tra l’equo compenso e quanto effettivamente corrisposto, fatto salvo il risarcimento dell'eventuale maggiore danno.

Infine, il Consiglio nazionale dell'ordine può proporre ricorso giudiziario attraverso l'azione di classe, di cui al titolo VIII-bis “Dei procedimenti collettivi” del libro quarto del codice di procedura civile.

A partire dal 2012 tutte le professioni ordinistiche hanno posto in cima alla loro agenda, vedendole applicate e aggiornate, le normative di tutela dell’equo compenso del lavoro autonomo, mentre la categoria dei giornalisti ha segnato il passo. Risultando conclamato che consentire retribuzioni depotenziate rispetto a quelle del lavoro subordinato può solo aumentare sempre più la precarizzazione di tutta la professione, è evidente che la scelta ultradecennale di avere ridotto al minimo l’interazione con il ministero di Giustizia sul tema abbia finora comportato il massimo danno. L’auspicio è che d’ora in poi l’Ordine eserciti pienamente in via Arenula ruolo e poteri che la riforma Meloni ha confermato e rafforzato.

 

Tags: lavoro autonomo, Osservatorio equo compenso