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Giornalismo, attualità della professione e legge anacronistica

News and paper: leggere news online su telefono e su giornali di carta stampata

Qualità dell’informazione, dovere dei giornalisti e diritto dei cittadini. Temi di dibattito sulla riforma della legge 69/1963.

La laurea come requisito per l’Albo dei giornalisti. Abolire la figura del pubblicista, giornalista depotenziato. Unico Ordine dei giornalisti e comunicatori, con due albi separati e percorsi di accesso distinti. Effettiva tutela diretta dell’equo compenso da parte dell’Ordine.

L’interconnessione globale, la diffusione pervasiva istantanea e continua di messaggi ipermediali emessi da chiunque, il potere incontrollato di influenzare l’opinione pubblica attraverso i media digitali, fake e news: temi che confermano la necessità, a tutela dei cittadini, di un’efficace regolamentazione etica delle attività professionali di informazione e comunicazione e, allo stesso tempo, rivelano quanto sia insostenibile l’arcaico ordinamento della professione giornalistica.

Le criticità su cui intervenire per riformare la legge 69/1963 sono oggetto di dibattito da oltre venticinque anni: l’accesso alla professione con la laurea in giornalismo (attivata nel 1996 nei corsi in Scienza della Comunicazione), previsto già nel disegno di legge Cusimano del 1997 e nelle proposte ufficiali del Cnog del 2008, 2012, 2014, 2018; l’inappropriata discriminazione tra giornalisti professionisti e pubblicisti; l’assenza di una definizione di giornalista, motivo di sempre maggiore confusione su identità professionale e competenze specifiche di giornalisti e comunicatori; il ruolo attivo di tutela dell’Ordine sui compensi decorosi, idonei e congrui, con la stessa rigorosa attenzione assicurata dalle altre professioni regolamentate ai propri iscritti.

Occorre sempre tenere presente che secondo la sentenza 11/1968 della Corte Costituzionale non bisogna necessariamente essere iscritti all’Odg per collaborare con una testata. La legge istitutiva 69/1963, afferma la Consulta, “disciplina l'esercizio professionale giornalistico e non l'uso del giornale come mezzo della libera manifestazione del pensiero (art. 21 Costituzione)”, e “la stessa legge 69/1963 considera pienamente lecita anche la collaborazione ai giornali che non sia né occasionale né gratuita” da parte di qualunque cittadino. Infine, “l'art. 35 circoscrive la portata del divieto sancito nell'art. 45” e, in definitiva, “l'appartenenza all'Ordine non è condizione necessaria per lo svolgimento di un'attività giornalistica che non abbia la rigorosa caratteristica della professionalità”.

Il compito principale dell’ordine, come istituzione, è assicurare ai cittadini la qualità delle prestazioni professionali dei propri iscritti. L’orientamento comune consolidato è che questo venga garantito da una formazione di livello universitario, da un tirocinio professionalizzante e da una formazione continua di profilo adeguato.
Incongruenza storica ed eclatante è la contemporanea previsione di due figure di giornalisti, professionisti e pubblicisti, abilitate a svolgere le stesse mansioni, entrambe in grado di ricoprire il ruolo di direttore responsabile di qualsiasi testata, ma che senza alcuna logica coerenza accedono all’albo con requisiti fortemente diversi. Unico elemento distintivo: il pubblicista può fare il giornalista part-time, potendo svolgere anche altre professioni. È intuitivo che se il pubblicista e il professionista sono abilitati per gli stessi compiti, devono accedere con gli stessi titoli di studio e le medesime modalità di tirocinio.
Un accesso con requisiti differenziati per soggetti che possono svolgere l’identico lavoro, non è un criterio in grado di assicurare al cittadino uniforme qualità di prestazioni.
Naturalmente, per tutte le altre professioni incardinate in uno stesso Ordine, a differenti requisiti di accesso corrispondono sempre abilitazioni e competenze decisamente diverse. Così avviene, per esempio, tra medici e odontoiatri oppure tra architetti con laurea triennale e laurea quinquennale.

L’incongruenza nel distinguere tra giornalisti redattori e collaboratori, professionisti e pubblicisti, trova conferma nella controversa applicazione dell’articolo 200 del Cpp, che riconosce il segreto professionale soltanto ai giornalisti professionisti. In proposito, la Corte di appello di Enna, assolvendo nel 2017 due allora pubblicisti (Trovato e Martorana) rinviati a giudizio per avere invocato il diritto al segreto professionale, ha motivato la decisione affermando che l’ordinamento della professione di giornalista non evidenzia “fra le prestazioni rese da un giornalista professionista e quelle rese da un giornalista pubblicista, differenze di ordine qualitativo”.

Mentre in atto si può conseguire l’abilitazione all’esercizio professionale di giornalista senza esame di Stato, semplicemente attraverso l’iscrizione all’elenco dei pubblicisti, producendo un certo numero di articoli pagati pubblicati su testate giornalistiche, il percorso di accesso alla professione potrebbe in futuro più correttamente avvenire attraverso l’iscrizione all’Albo (unico) dei giornalisti, e secondo le caratteristiche minime comuni presenti in tutte le proposte di riforma nel tempo presentate dal 1997, in parlamento o dal Cnog. In sintesi, solo dopo un esame di Stato, i cui requisiti di ammissione sono il possesso di una laurea (triennale o magistrale) in qualsiasi disciplina, oltre un tirocinio di 18 mesi (e, preferibilmente, anche 6 mesi di stage. Lo stage può essere svolto anche contemporaneamente all’ultimo semestre della laurea). Il tirocinio può essere assolto, come già oggi avviene, attraverso l’assunzione come praticante per 18 mesi, ovvero frequentando una scuola di giornalismo (master biennale riconosciuto dall’Odg).

L’attuale elenco dei pubblicisti andrebbe in esaurimento, mantenendo le attuali prerogative di esercizio professionale degli iscritti, che avranno naturalmente il diritto, avendone i requisiti, di chiedere di iscriversi nel nuovo Albo di cui faranno parte solo i soggetti che abbiano superato l'esame di Stato.

Desta invece perplessità, mentre si parla di maggiore qualità dei requisiti di accesso, la recente proposta di riconoscere il tirocinio/ praticantato presso mezzi di comunicazione che non siano testate giornalistiche.

Giornalisti e comunicatori: cronisti e commentatori, social media manager e PR sono in grado di esercitare una grande influenza nella pubblica opinione. Entrambe le professioni vanno regolamentate con una deontologia. La proposta di accorpamento in un unico ordine con due albi distinti

Mentre l’ordine dei giornalisti continua per legge a mantenere senza alcuna reale necessità l’elenco dei pubblicisti, con accesso depotenziato, come se la semplice facoltà di esercizio part time implicasse una differente minore competenza e definisse un “diversamente iscritto”, giornalista “di serie B”, la legge prescrive espressamente per le istituzioni ordinistiche l’accorpamento su base volontaria tra professioni simili. In coerenza, la categoria ha decisamente sostenuto e perseguito per anni la linea politica di accorpamento tra giornalisti e comunicatori, con l’obiettivo di salvare la gestione principale dell’Inpgi, poi comunque confluita nell’Inps.
L’attuale legge 150/2000 pur distinguendole nettamente, disciplina unitariamente le attività affidate a giornalisti e quelle affidate ai comunicatori, collegate da naturali affinità e integrando l’obiettivo comune di diffusione e massima comprensione da parte dei cittadini del complesso delle attività istituzionali della pubblica amministrazione.
È evidente che tanto il giornalista che il comunicatore possono esercitare un’influenza di pari rilevanza nella pubblica opinione e che entrambe le professioni vanno regolamentate attraverso una deontologia, nell’interesse del cittadino.
Tutto concorre a rappresentare una regolamentazione professionale semplice, chiara e comprensibile, quale può essere un Ordine dei giornalisti e comunicatori che comprenda un Albo dei giornalisti e un Albo dei comunicatori.

Bisogna prendere atto che l’Ordine dei giornalisti specialmente nell’ultimo decennio ha generalmente omesso di intervenire ed esercitare quell’importante tutela degli iscritti che consiste nell’adottare ed esprimere pareri su compensi decorosi, adeguati e congrui che tutti gli altri ordini hanno invece normalmente continuato ad emettere, anche e specialmente dopo la regolamentazione ministeriale dei compensi in seguito alla legge 27/2012.
Eppure non è mai stata abrogata la facoltà di emanare pareri di congruità (art. 636 Cpc) e tutte le altre professioni ordinistiche hanno proseguito ad avvalersene nell’interesse degli iscritti. La recentissima riforma Meloni 49/2023 in materia di Equo compenso riconoscendo il valore di titolo esecutivo al parere di congruità emanato dall’Ordine ha chiarito essere un percorso alternativo a quello da sempre vigente (art. 2233 Cc e art. 636 Cpc), benché non utilizzato dalla maggior parte degli Ordini regionali dei giornalisti.
In Sicilia, in particolare, il regolamento emanato dalla Giunta regionale n. 301/2018 prevede che l’importo a base di gara degli incarichi professionali (anche negli uffici stampa) avvenga secondo equo compenso, ma non si ha notizia di un parere ordinistico mai emesso in merito. Se la legge 27/2012 prevede che le tariffe siano emanate dal ministero, all’Ordine da sempre compete la tutela sull’adeguatezza dei compensi corrisposti.
Il DM 140/2012 prevede l’applicazione analogica in mancanza di espliciti importi, consentendo quindi, per esempio, di usare come immediato riferimento i compensi a tempo (desumibili dai cnlg), in quanto ammessi dalle altre professioni.
Inoltre, la Carta di Firenze contro la precarizzazione (ottima norma deontologica ma del tutto disapplicata) dal 2011 stabilisce chiaramente che “Ai fini della determinazione dell’adeguatezza dei compensi relativi a prestazioni di natura giornalistica, i consigli regionali dell’Ordine dei Giornalisti adottano e rendono pubblici criteri e parametri di riferimento.” Questo in coerenza con l’art. 2233 Cc e l’art. 41 della legge 69/1963, e avendo riguardo che anche la revisione periodica degli albi deve verificare che le prestazioni di lavoro autonomo avvengano nel rispetto dell’equo compenso. Significativo ricordare che la legge Meloni 49/2023 ha abrogato la norma del Decreto Bersani che a sua volta aveva abrogato l’obbligo del rispetto dei tariffari degli ordini professionali. Della effettiva tutela economica degli iscritti, la riforma dovrà quindi tenere conto.


 Immagine elaborata su originale di Freepik

Tags: lavoro autonomo, Ordine