Diffamazione, la veridicità di una dichiarazione va valutata in relazione al contesto
La Cassazione ha annullato la condanna inflitta ai giornalisti Oscar Giannino, Giuseppe Castellini e Andrea Luccioli, citati in giudizio da Luca Cordero di Montezemolo per una frase pronunciata da Giannino in campagna elettorale e riportata dal Giornale dell'Umbria. «In riferimento al diritto di critica, il rispetto della verità oggettiva del fatto assume un rilievo minore rispetto al diritto di cronaca», rilevano i giudici.
L'eventuale portata diffamatoria di una dichiarazione riportata all'interno di un articolo di critica politica va valutata nel complesso della vicenda raccontata e commentata dal giornalista e in relazione al contenuto che la frase intendeva veicolare. A questo principio il giudice di merito deve ricondursi nell'accertare la veridicità del fatto posto alla base dell'esercizio del diritto di critica giornalistica, atteso che il diritto di critica politica, ricorda da Corte, «consente il ricorso anche ad espressioni forti, e persino suggestive, al fine di potenziare l'efficacia del discorso o del testo e di richiamare l'attenzione dell'interlocutore destinatario».
Questa, in sintesi, la ragione per la quale la Cassazione, annullando la sentenza, ha rinviato alla Corte d'appello di Milano il procedimento al termine del quale i giudici di secondo grado avevano condannato il giornalista Oscar Giannino e i colleghi Giuseppe Castellini e Andrea Luccioli per diffamazione nei confronti di Luca Cordero di Montezemolo. Assolti in primo grado, in appello è arrivata la condanna per aver riportato una notizia, ritenuta falsa e diffamante, in un articolo pubblicato dal Giornale dell'Umbria contenente delle dichiarazioni rese da Giannino a margine di una conferenza politica tenutasi a Perugia nel 2013, nel corso della sua campagna elettorale.
Nell'ordinanza, la terza sezione Civile presieduta da Giacomo Travaglino, soffermandosi sui principi posti a fondamento del diritto di cronaca e di critica, evidenzia come in riferimento all'esercizio di quest'ultimo, «in tema di diffamazione a mezzo stampa il rispetto della verità oggettiva del fatto assuma un rilievo minore rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor più quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, anche ove non sfoci nella satira, ha per sua natura carattere congetturale e, pertanto, non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica», rilevano i giudici.
Un approccio – aggiunge la Corte – che risulta conforme non solo alle leggi che in Italia regolano una libertà di rango costituzionale (la libertà di espressione fissata dall'articolo 21 della Carta), ma anche a quanto sancito dalla Convenzione europea dei diritti umani all'articolo 10 ('Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione') e dalla giurisprudenza europea in tema di necessario bilanciamento fra il dettato di tale articolo e il diritto al rispetto della vita privata previsto dall'articolo 8 della stessa Convenzione, nel quale rientra il diritto alla reputazione quale naturale contrapposto del diritto di critica.
Nel soppesare i due valori, occorre circoscrivere l'analisi di una 'notizia diffamante' nel contesto politico, tenendo presente che «il diritto di critica politica, soprattutto quando comporta giudizi di valore, è idoneo a legittimare l'attività di cronaca giornalistica anche con l'uso di toni allusivi, accesi, graffianti e smodati, senza che con ciò necessariamente sfoci nell'ambito dell'illecito, fino al punto in cui esso non trascenda in attacchi e aggressioni personali diretti a colpire la 'figura morale del soggetto criticato'», aggiunge la Cassazione.
Per questo, seguendo i principi e il ragionamento messi nero su bianco nell'ordinanza 22178/2019 pubblicata il 5 settembre, i giudici hanno stabilito che la Corte di merito «non ha dimostrato di essersi posta nella giusta prospettiva di giudizio, operando un bilanciamento dei valori in gioco nell'ambito della critica politica e considerando il contenuto e il valore semantico della notizia, certamente graffiante e accattivante, ma non necessariamente inveritiera quanto al contenuto che intendeva veicolare, nel contesto di pubblico dibattito politico in cui è stata rilasciata la dichiarazione», annullando la sentenza e rinviando il procedimento alla Corte d'appello di Milano affinché, in diversa composizione, giudichi il merito della controversia alla luce dei principi esposti.
PER APPROFONDIRE
L'ordinanza della Corte di Cassazione è disponibile a id=./20190905/snciv@s30@a2019@Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.">questo link.