Una vittoria di Assostampa l’insediamento della Commissione per l’Equo Compenso nelle redazioni giornalistiche
Dopo le numerose diffide da parte delle Associazioni della Stampa Siciliana, Romana e del Friuli Venezia Giulia e il ricorso al Tar vinto lo scorso marzo da Assostampa Sicilia e Stampa Romana per ottenerne la convocazione, mercoledì 4 dicembre alla presenza del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Andrea Martella, si è insediata presso il Dipartimento per l’Editoria, nella nuova composizione, la Commissione per l’Equo Compenso dei giornalisti non subordinati nelle redazioni.
La legge 233/2012 interviene stabilendo modalità di compenso, tracciabilità e sanzioni a tutela del lavoro giornalistico autonomo e precario. Finora è rimasta inapplicata.
Sono passati più di cinque anni dall’unico provvedimento esitato, la delibera del 2014 che stabiliva una remunerazione che di equo non aveva neanche l’ombra, tant’è che prima il Tar nel 2015, poi il Consiglio di Giustizia amministrativa nel 2016, ne hanno disposto l’annullamento.
L'organismo a tutela dell'equità retributiva dei giornalisti non è più stato convocato. Nel frattempo la legge 172 del 2017 ha sancito il diritto all'equo compenso per qualsiasi attività di lavoro autonomo, anche per le professioni non ordinistiche.
Passati tanti anni, è il caso di chiarire che la Commissione EC non ha però alcuna competenza per rimediare ad un altro aspetto della precarizzazione del lavoro nelle redazioni, cioè l’esistenza dei cococo per i giornalisti, istituto contrattuale tutto italiano largamente utilizzato per mascherare rapporti in realtà di lavoro subordinato.
La via maestra da perseguire appare quella di fare appello al doveroso ruolo di garanzia che spetta al Sottosegretario all’Editoria Martella, in quanto Presidente della Commissione EC. Va chiesta la puntuale applicazione della norma per evitare il ripetersi delle modalità stravolgenti adottate nel 2014, che portarono all’annullamento da parte della Giustizia amministrativa di quanto deliberato dalla Commissione e, soprattutto, il blocco dei lavori.
La legge 233/2012 infatti impone di stabilire un equo compenso per i non subordinati che deve essere quantificato in coerenza con quello dei subordinati. Ma stabilisce anche che ogni patto contenente condizioni contrattuali in violazione dell'equo compenso è nullo.
Nel 2014 si procedette all'esatto contrario. Abdicando al suo ruolo super partes e piegandosi alle fortissime pressioni degli editori, la Commissione delegò la definizione del compenso (incredibile a dirsi) ad una preventiva contrattazione tra Fieg e Fnsi sul lavoro autonomo, rendendo inutile il ruolo della Commissione stessa, che semmai avrebbe dovuto ritenere nullo un compenso contrattato non coerente con quello dei giornalisti subordinati. Non ci fu infatti alcuna perequazione, solo delle tariffe inventate ad hoc (e perfino quelle generalmente non rispettate).
Compito della Commissione ora rimane quello di stabilire un’efficace procedura di conversione tra i compensi dei subordinati e non subordinati. Non una tabella come quella della delibera annullata, che assegna numeri arbitrari (3000 euro l’anno, lunghezza minima 1800 battute, numero minimo 144 articoli).
Illegittima ovviamente anche la limitazione della platea di applicazione ai soli cococo. La legge non pone limitazioni: la tutela spetta a tutti i giornalisti non subordinati, senza se e senza ma.
“Negli ultimi anni la condizione e la natura del lavoro giornalistico è profondamente e drammaticamente cambiata – ha affermato il presidente nazionale dell'Ordine dei giornalisti, Carlo Verna – esistono condizioni di disperazione e precarietà che vanno rimosse al più presto. Come è stata trovata una soluzione per i rider così deve essere trovata una via d’uscita per i giornalisti. Bisogna rimuovere delle inaccettabili sacche di povertà e sfruttamento che non solo incidono sulla dignità del lavoro e delle persone ma, nel caso dei giornalisti, minano l’essenziale funzione democratica di chi, per mestiere, deve raccontare la verità sostanziale dei fatti”.
"I giornalisti senza un contratto di lavoro stabile rappresentano 3 attivi su 4 e condividono un problema retributivo immenso", ha detto in Commissione Mattia Motta, segretario generale aggiunto Fnsi. Si tratta di giornalisti che non si occupano della 'seconda fila' del sistema dell'informazione, spiega Motta: "siamo nei consessi politici, nelle aule di giustizia, copriamo i 'giri di nera' e in comune abbiamo il fatto di essere pagati pochi euro al pezzo. Questa Commissione si occupa di altra cosa rispetto alla contrattazione nazionale, che spetta alle parti sociali, tuttavia il giusto compenso è determinante per la tenuta del sistema". La delibera del 2014 che prevedeva perfino il 'demoltiplicatore', per il quale 'più scrivi, meno ti pago', è inaccettabile. "I cittadini, in quest'epoca di 'iperinformazione', hanno bisogno di giornalisti indipendenti e liberi, soprattutto dai bisogni materiali, e questo passa dalla definizione di un equo compenso".
La Commissione deve provvedere al costante aggiornamento dell’elenco delle testate adempienti, quindi è una commissione permanente (durata sine die) che assicura la tutela stabilendo modalità di compenso, tracciabilità e sanzione.
La procedura di controllo automatico, analoga a quella del DURC (documento unico di regolarità contributiva) per i lavoratori subordinati, consente un controllo a monte che evita debba essere lo stesso giornalista sfruttato ad iniziare la vertenza.
La tracciabilità del lavoro giornalistico autonomo è la strumento procedurale che deve consentire di redigere l’elenco delle testate giornalistiche che rispettano l’equo compenso, e provvedere al suo costante aggiornamento.
La sanzione per gli editori che perdono i requisiti di regolarità per l’iscrizione nell’elenco è la decadenza dal contributo pubblico in favore dell'editoria, nonché da eventuali altri benefici pubblici. Ovvio che non piaccia agli editori.