Pietro Grasso: «Pippo Fava riuscì a spiegare la missione del giornalismo, uno dei più importanti presidi di libertà in una democrazia»
Trentuno anni fa moriva assassinato dalla mafia il giornalista catanese.
Daniele Lo Porto, Assostampa Catania: «Sicilia di oggi non così diversa, malgrado l'impegno e il sacrificio di molti, da quella di allora»
Pippo Fava venne ucciso la sera del 5 gennaio 1984. Fu seguito dai suoi sicari all’uscita della redazione del giornale che aveva fondato e dirigeva, “I Siciliani”. Non fece in tempo ad uscire dalla macchina che aveva appena parcheggiato davanti l’ingresso del Teatro Stabile di Catania. Un killer gli sparò attraverso il finestrino colpendolo al collo e alla nuca con cinque proiettili calibro 7,65. Come mandanti dell’omicidio furono condannati all’ergastolo, con sentenza definitiva nel 2003, Nitto Santapaola e Aldo Ercolano.
«Fu intellettuale scomodo e giornalista controcorrente, coraggioso nella denuncia civile conto la mafia senza volere assumere il ruolo di "professionista"». Daniele Lo Porto, segretario provinciale dell'Assostampa di Catania commemora così Giuseppe Fava. «A distanza di 31 anni dall'omicidio - aggiunge - ha lasciato una testimonianza che è ancora attuale e viva, spunto di analisi e di confronto della Sicilia di oggi non così diversa, malgrado l'impegno e il sacrificio di molti, da quella di allora».
Giuseppe Fava era nato a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa, il 15 settembre 1925. Laureato in giurisprudenza nel 1947, era diventato giornalista professionista nel 1952. Redattore e inviato speciale nei settori di attualità e di cinema per riviste come «Tempo illustrato» e «La domenica del Corriere», corrispondente di «Tuttosport», collaborò a «La Sicilia». Dal 1956 al 1980 era stato anche capocronista del quotidiano «Espresso sera». Drammaturgo, romanziere, autore di libri-inchiesta: nel 1975 ottenne grande successo il suo romanzo «Gente di rispetto»; nel 1977 pubblicò un altro romanzo «Prima che vi uccidano»; nel 1983 «L'ultima violenza».
Nella primavera del 1980 tornò a Catania, dove gli venne affidata la direzione del Giornale del Sud. L'11 ottobre 1981, inaugurando quella che doveva essere la rubrica delle lettere al Direttore, Fava scrisse quello che è tutt'oggi considerato il Manifesto del giornalista antimafioso: Lo spirito di un giornale. Sostenendo di avere "un concetto etico del giornalismo", Fava metteva nero su bianco che "un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo." Il giorno dopo Fava ricevette la lettera di licenziamento. Decise quindi di fondare un nuovo quotidiano, e il 22 dicembre 1982 uscì il primo numero de “I Siciliani” con un pezzo intitolato "I quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa”, dedicato ai quattro maggiori imprenditori catanesi, Rendo, Graci, Costanzo e Finocchiaro.
«Non conoscevo Giuseppe Fava però commemorare la sua storia è un'occasione per ricordare le vittime della mafia e mettersi alla loro scuola perché ci hanno lasciato un insegnamento molto importante. Noi lo dobbiamo seguire perché la mafia non ha vinto, la mafia c'è ancora». Lo ha affermato il presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi, alla cerimonia a Catania in ricordo del giornalista.
«A che serve vivere, se non c'è il coraggio di lottare?» È la frase di Pippo Fava con cui vuole ricordarlo il vicepresidente della Commissione regionale Antimafia, Fabrizio Ferrandelli: «Semplici e potenti parole che racchiudono il senso di una vita, di un impegno. A noi oggi spetta il compito di convincere le nuove generazioni che il coraggio di lottare contro l'illegalità, il malaffare, la cattiva politica per affermare i diritti e le libertà è il modo migliore per dare un senso alle nostre vite e per costruire in Sicilia un domani migliore».
«Due macchine da stampa di seconda mano, un gruppo di giovani collaboratori e tanta voglia di fare giornalismo in Sicilia per 'realizzare giustizia e difendere la liberta'. Con questo spirito Pippo Fava fondò la rivista I Siciliani». Questo il ricordo che la presidente della Camera, Laura Boldrini, dedica a Pippo Fava a 31 anni dal suo assassinio. «Dal novembre del 1982 all'inizio del 1984 il mensile riuscì a denunciare efficacemente la criminalità organizzata e soprattutto i legami tra Cosa Nostra e quelli che definì 'i quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa', ovvero alcuni dei più potenti imprenditori dell'isola. Inchieste per le quali i boss decisero che doveva morire.»
«Il suo coraggio, il suo rigore etico e professionale la sua insopprimibile esigenza di raccontare la verità lo avevano portato a rivelare gli intrecci (fino ad allora bollati come fantasie) tra mafia, politica e affari nella sua città, Catania», sottolinea il presidente del Senato Pietro Grasso. «Cosa Nostra teme l’informazione libera e chiunque possa interferire nei suoi affari, così Fava era ben presto divenuto un nemico da silenziare, “un fituso” che non meritava altro che la morte.» Attraverso le parole contenute nello “Spirito del giornale” riuscì a spiegare la missione del giornalismo, uno dei più importanti presidi di libertà in una democrazia. «A molti anni da quel terribile giorno il suo ricordo non si è affievolito», conclude Grasso. «Pippo Fava continua a rappresentare per il mondo del giornalismo, e non solo, uno straordinario esempio di fedeltà alla propria professione, di incrollabile dedizione e di passione civile.»