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Incompatibilità del giornalista a fare il redattore
mentre lavora in Uffici stampa di enti pubblici

Quando la tolleranza può diventare impunità

Non è infrequente costatare la commistione tra attività di informazione per conto di una pubblica amministrazione (portavoce o ufficio stampa) e altre attività giornalistiche. Questo nonostante la legge ne stabilisca chiaramente l’incompatibilità.

Un autorevole parere in merito lo esprime Franco Abruzzo: “Dopo l’entrata in vigore della legge 150/2000, i giornalisti della carta stampata, della tv, della radio, di internet e delle relazioni pubbliche non possono lavorare negli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni. Le commistioni tra attività giornalistica e attività di ufficio stampa non sono lecite e tollerabili(*). L’articolo 9 (punto 4) della legge 150 pone un limite ineludibile e invalicabile (I coordinatori e i componenti dell'ufficio stampa non possono esercitare, per tutta la durata dei relativi incarichi, attività professionali nei settori radiotelevisivo, del giornalismo, della stampa e delle relazioni pubbliche).”
Più precisamente, questo significa che un giornalista, ottenuto il permesso dall’editore per il quale lavora, può fare tutte le attività per conto terzi che vuole con l’unica eccezione dell’attività di informazione per una pubblica amministrazione.
E’ altrettanto chiaro che un pubblico dipendente, ottenuto il permesso dalla sua amministrazione, può svolgere contemporaneamente tutte le altre attività conto terzi che desidera; quindi (se è iscritto all’Ordine) può fare anche attività giornalistica, tranne un’unica eccezione: che il suo lavoro da dipendente non consista in attività di informazione (portavoce o ufficio stampa) per la pubblica amministrazione.

Il problema deontologico emergente nel caso del giornalista dipendente o collaboratore fisso di testata non riguarda soltanto la violazione di una legge dello Stato, fatto in sé eticamente grave, ma anche del quadro di disposizioni da parte dell’Ordine dei giornalisti. (*)
Infine, non ultimi, si evidenziano vari aspetti di natura sindacale.
Per esempio, un giornale che abbia tra i suoi collaboratori un dipendente comunale che si occupa dell’ufficio stampa avrà la certezza di avere un afflusso costante di notizie per le pagine di cronaca di quel comune, risparmiando il costo di un corrispondente assunto. L’ente magari avrà lo svantaggio che il suo dipendente darà la notizia prima alla testata di cui è collaboratore, poi invierà il comunicato agli altri media, con evidente danno per l'amministrazione.
Per altro verso, viene violata l’incompatibilità stabilita dalla legge intesa ad impedire agli enti di avere “a contratto” redattori e collaboratori dei media, che assicurano copertura e visibilità ma viziano l’imparzialità di una corretta informazione.

Le carte deontologiche dell’Ordine danno precise indicazioni sul ruolo di autonomia e la credibilità professionale del giornalista. Quelli che seguono sono alcuni passi presi dalla Carta dei doveri:
“Il giornalista non assume incarichi e responsabilità in contrasto con l'esercizio autonomo della professione. Il rapporto di fiducia tra gli organi d'informazione e i cittadini è la base del lavoro di ogni giornalista. Il giornalista ricerca e diffonde le notizie di pubblico interesse e compie ogni sforzo per garantire al cittadino la conoscenza ed il controllo degli atti pubblici. La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli dell'editore, del governo o di altri organismi dello Stato.”

Senza dubbio il regime di tolleranza finora adottato verso il fenomeno ha nei fatti favorito situazioni di impunità. Come intervenire? Occorre evidentemente sanzionare chi non rispetta le norme. La questione presenta due aspetti diversi. Innanzitutto bisogna intervenire verso gli enti che concedono ai propri dipendenti di svolgere attività proibite dalla Legge. Ovvero verso gli enti pubblici che affidano incarichi di ufficio stampa senza controllare che gli incaricati rispettino l’incompatibilità prescritta.
Non c’è dubbio inoltre che occorre agire con rigore verso chi svolge illegalmente l’attività giornalistica. L’Ordine ha recentemente avviato iniziative per monitorare il sistema delle collaborazioni, del giusto compenso e del precariato, preannunciando modalità sanzionatorie. Le anomalie nel campo degli uffici stampa sono certamente connesse al sistema e vanno anch’esse contrastate con il medesimo rigore.

Una precisazione finale. L’ultimo periodo del Comma 4, Art. 9, Legge 150/2000 in merito all’incompatibilità tra attività in un Ufficio stampa nella PA e altra attività giornalistica riporta che eventuali deroghe possono essere previste soltanto dalla contrattazione collettiva per la regolamentazione dei profili professionali.
E’ da ricordare, a questo proposito, che in Sicilia la contrattazione collettiva è stata stipulata ma non ha previsto alcuna deroga all'incompatibilità per il giornalista.


Nota
(*) Vedi Pag. 69 "La deontologia del giornalista" a cura di Michele Partipilo
Editore Ordine dei Giornalisti

"Non sono compatibili con la deontologia professionale e con il giornalismo inteso come informazione critica quelle situazioni in cui il giornalista assume il duplice ruolo di chi, retribuito per dare una corretta informazione, trae contemporaneamente un utile diretto o indiretto - anche per interposta persona - da attività contrastanti con il suo dovere e con la libertà d'informazione e di critica.
A questo àmbito di violazioni della deontologia professionale va riferito il caso del giornalista dipendente o collaboratore fisso di testata che ricopre incarichi retribuiti in uffici stampa di enti pubblici o privati.
Dopo l'entrata in vigore della legge 150/2000, i giornalisti della carta stampata, della tv, della radio e di Internet non possono tenere collaborazioni con la pubbliche amministrazioni. Le commistioni tra attività giornalistica e attività di ufficio stampa non sono lecite né tollerabili".

 

 
   

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